Francesco Borgonovo per “la Verità”
I numeri, al solito, sono più spaventosi di qualunque descrizione. Stando ai dati forniti dall’ Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel 2014 furono registrate in Sicilia 1.450 donne provenienti dalla Nigeria. Un anno dopo, erano già 5600. Nel 2016 si è superato ogni limite, con 11.009 immigrate nigeriane sbarcate sull’ isola. Secondo una stima riportata dal britannico Guardian, l’ 80% di queste donne finisce sulle strade, la gran parte nella stessa Sicilia ma pure in varie altre città italiane ed europee.
Come riportava ieri il Giornale di Sicilia, «ad aumentare sono soprattutto le adolescenti di età compresa tra i 15 e i 17 anni, con un numero crescente di bambine di 13 anni». Il quotidiano siculo ha citato un report di Save the Children in cui si legge che «le ragazze vengono adescate nel circuito della tratta tramite conoscenti, vicini di casa, compagne di scuola o spesso anche sorelle maggiori già arrivate in Italia.
Una volta reclutate, vengono costrette ad un giuramento tramite i riti voodoo, con cui si impegnano a restituire allo sfruttatore il proprio debito, che si aggira tra i 20.000 e i 50.000 euro. Spesso vengono costrette alla prostituzione già durante il viaggio che le porterà in Italia, mentre attraversano il Niger e durante la successiva sosta in Libia, e arrivano nel nostro Paese sotto il controllo dei trafficanti». E c’ è persino di peggio: «Molte ragazze vengono indotte alla prostituzione già nelle aree limitrofe ai centri di accoglienza e identificazione, oppure vengono trasferite dai trafficanti in Campania, per essere smistate e distribuite nelle principali città italiane».
Questo è uno dei tanti benefici dell’ immigrazione senza limiti: la nostra disponibilità all’ accoglienza consente ai trafficanti di esseri umani di fare affari d’ oro. Esiste un’ intera filiera di schiavisti che macina denaro approfittando delle frontiere aperte e, come vedremo, anche la mafia siciliana trae i suoi bei profitti dallo sfruttamento delle prostitute nigeriane. Il fenomeno, ovviamente, non è nuovo. I primi arrivi di carne fresca dal Continente nero risalgono agli anni Ottanta, quando l’ Aids si abbattè come un flagello sulle prostitute italiane, creando – con il sangue e la sofferenza – un nuovo spazio per il mercato delle poverette giunte dall’ estero. Le prime schiave del sesso nigeriane arrivavano addirittura in aereo, con documenti falsi.
Col passare del tempo, il business si è allargato e la violenza è andata aumentando di pari passo. Secondo i dati delle Nazioni unite, tra il 1994 e il 1998 circa 116 donne nigeriane – tutte prostitute – sono state uccise nel nostro Paese.
All’ inizio degli anni Duemila il governo nigeriano ha cercato di porre un freno alla tratta, ma ormai i meccanismi erano rodati e da quando, negli ultimi due-tre anni, i flussi sono aumentati oltre ogni misura, l’ esercito delle nigeriane si è fatto sterminato.
A ricostruire nel dettaglio il percorso che queste donne compiono per arrivare qui attraversando mezza Africa è stato Ben Taub, un giornalista del New Yorker che ha seguito il viaggio disumano di una diciassettenne chiamata Blessing, ricavandone l’ inchiesta di copertina della settimana scorsa per la prestigiosa rivista americana. Quello di Taub è un servizio che gli italiani dovrebbero correre a leggere, perché – nonostante sia evidentemente schierato a favore dell’ accoglienza – sfata una marea di luoghi comuni a proposito degli immigrati.
La maggior parte di quelli arrivati in Italia nel 2016 sono proprio di nazionalità nigeriana: 37.551 ,secondo i dati del Viminale. Alla fine di marzo di quest’ anno, i nigeriani giunti qui erano già 3.014, secondi solo ai cittadini della Guinea (3.100).
Quando si sente parlare di loro nei talk show e sui giornali si sente spesso ripetere che «fuggono da Boko Haram», cioè dai macellai islamici attivi nel loro Paese d’ origine. In realtà, Ben Taub dimostra che la stragrande maggioranza delle donne nigeriane sono «teenager provenienti da Benin City, la capitale dello Stato di Edo, nel Sud della Nigeria».
Quindi non scappano dai terroristi, ma dalla corruzione endemica che affligge il loro Stato di provenienza.
Alla Nigeria – in base agli accordi presi al vertice di Malta – sono già andati almeno 36 milioni di euro stanziati dai Paesi membri dell’ Ue per il contrasto all’ immigrazione, e molti altri denari arriveranno. Ma a quanto pare non servono, o vengono spesi male. Stiamo parlando di quello che probabilmente è lo Stato più ricco dell’ Africa, eppure le diseguaglianze economiche interne – nonostante i vari interventi «umanitari» e gli aiuti – continuano a essere profonde.
Motivo per cui molte ragazze partono alla volta dell’ Europa. Spesso sono addirittura i parenti o i genitori a convincerle. Vengono, di fatto, vendute ai trafficanti, che le rendono schiave siglando con loro una sorta di patto di sangue. Vengono sottoposte a un antico rituale del culto juju, durante il quale promettono che ripagheranno il loro debito con gli schiavisti, altrimenti la magia agirà su di loro uccidendole.
Una volta uscite dalla Nigeria, le ragazze arrivano in Niger. Ben Taub le ha seguite nella città di Agadez. La cosa curiosa è che proprio lì e a Niamey dovrebbe essere attivo un programma finanziato dall’ Unione europea, in cui anche l’ Italia ha avuto un ruolo di primo piano. È stato addirittura costruito un grande centro, gestito per lo più da funzionari dell’ Oim, in cui gli immigrati dovrebbero essere ospitati e convinti a ritornare da dove sono venuti.
Evidentemente, però, questo centro non funziona affatto. Tanto che ad Agadez, secondo un report realizzato dalla polizia locale e diffuso dalla Reuters, esistono circa 70 case in cui le giovani schiave vengono recluse in attesa di proseguire il viaggio. A proteggere queste dimore sono gli stessi agenti delle forze dell’ ordine. Poiché le istituzioni utilizzano in altri modi, più o meno leciti, i soldi dei loro stipendi, i poliziotti per arrotondare (o addirittura per sopravvivere) si mettono al servizio dei trafficanti. Risultato: le nigeriane vengono fatte prostituire anche in Niger, dove restano mesi e mesi: il tempo di guadagnare abbastanza denaro per soddisfare le richieste degli schiavisti, che nel corso del viaggio diventano sempre più esosi.
Dal Niger, seguendo rotte antichissime del traffico di schiavi che da sempre caratterizza l’ Africa, le ragazze giungono tra mille peripezie in Libia. Ad ogni tappa, ci sono altri soldi da pagare, altre richieste da soddisfare. Chi riesce a racimolare abbastanza denaro, viene caricato sui barconi (anzi, sui canotti) e parte alla volta dell’ Italia. Ben Taub, sul New Yorker, ha raccontato come le ragazze che ha seguito siano state recuperate – dopo ore di pattugliamenti lungo le coste libiche – dalla nave Dignity I della ong Medici Senza Frontiere (a quanto pare, gli operatori non hanno potuto impedire che i trafficanti riprendessero il motore della loro bagnarola, che servirà dunque per un altro viaggio).
A bordo di navi come questa le ragazze vengono identificate (e spesso mentono sull’ età), poi finalmente arrivano nei centri d’ accoglienza in Italia. Da lì, entrando e uscendo a piacimento, passano in strada, gestite dalla mafia nigeriana e da quella sicula. Questo è il traffico: condotto da africani ai danni di altri africani. E a beneficio di schiavisti e criminali. Grazie all’ accoglienza.