Come ho fatto ad essere così stupida? Come ho fatto a fidarmi e a non accorgermene? Inizia con queste domande la testimonianza di Blessing Okoedion, una ragazza di trent’anni, nigeriana. Oggi è una mediatrice culturale, nel suo passato ci sono la strada e la prostituzione. Blessing è una ex vittima della tratta. È arrivata in Italia nel 2013, ingannata da una donna che lei ora definisce un «lupo travestito da agnello». Ha una laurea in informatica Blessing, ma non è bastato a riconoscere l’inganno, tanto era studiato il “travestimento”: «appena ho capito quale lavoro avrei dovuto fare, qui in Italia, non facevo altro che ripetermi “come ho fatto”, “come può essermi successa questa cosa”». La catena di Blessing era un debito da 65mila euro, così le disse quella donna che l’aveva ingannata. Lei ha avuto la forza di romperla, denunciando e ricominciando una nuova vita. E raccontando la sua storia in un libro appena pubblicato, Il coraggio della libertà (edizioni Paoline) scritto insieme alla giornalista Anna Pozzi.
Nel mondo sono almeno 21 milioni le persone vittime di tratta, per il 70% donne e bambini. “Tratta” significa persone trafficate e sfruttate, prevalentemente per sesso e lavoro servile: ogni due minuti, nel mondo, c’è un bambino che viene sfruttato sessualmente. È un giro d’affari che vale 32 miliardi di dollari l’anno e che in Europa vale più del traffico di droga o d’armi. Se ne è parlato nel convegno “Migrazioni e traffico di persone”, a Milano. È un fenomeno che tocca anche l’Italia, in ogni sua zona. Solo in Italia sono 50-70mila le donne vittime della tratta, circa la metà giovani nigeriane: ogni mese qui in Italia da loro si acquistano 9-10 milioni di prestazioni sessuali. Lo sfruttamento del lavoro riguarda invece 150mila persone: lavoro schiavo, non semplicemente lavoro nero, con sottrazione di documenti, salario di poche decine di euro per 12 ore di lavoro, condizioni abitative disumane, fornitura di beni di prima necessità obbligatoria e a caro presso. Basta un dato per capire quanto la tratta ci riguardi: le donne nigeriane sbarcate in Italia nel 2016 sono state 11mila: erano la metà (5.600) l’anno prima. Molte di loro, come Blessing, si chiedono “come è possibile”.
Come è possibile? «Tante persone in Nigeria hanno sentito parlare della tratta. Ma nelle città. Nessuno va nei villaggi a raccontare. I trafficanti sanno che non possono più prendere ragazze in città, ma nei villaggi questi appaiono come gli unici salvatori. I nostri villaggi sono abbandonati dalle autorità, i trafficanti arrivano, promettono un lavoro, magari come baby sitter. Sono una mano tesa per persone abbandonate a loro stesse, l’unica mano tesa. Con quaranta euro si prendono una ragazza», racconta Blessing. La sua voce si leva forte, potente: «Ma è forse un peccato vivere in un villaggio? Non parlare inglese? Perché lì nessuno racconta la verità? Perché nessuno spiega a queste ragazze e alle loro famiglie cosa sia la tratta?».
Il problema che Blessing denuncia – tecnicamente lo chiamano “gap informativo” – è un nodo cruciale delle migrazioni odierne e dei tentativi di arginare i numeri del traffico di esseri umani, tant’è che l’OIM-Organizzazione Mondiale per le Migrazioni ha avviato una campagna informativa sui social chiedendo a migranti arrivati in Italia di registrare una brevissima testimonianza in cui raccontino la verità su ciò che hanno passato in Libia, perché «chi parte non sa cosa lo aspetta», afferma Flavio Di Giacomo, portavoce OIM. Il progetto si chiama Aware Migrants. Non sanno, dice Di Giacomo senza mezzi termini, che «la Libia è inferno. I migranti vengono picchiati, rinchiusi nei campi, gli viene chiesto di pagare un riscatto, a volte lavorano ma non vengono pagati. Molti vorrebbero tornare indietro, ma a i trafficanti non vogliono che chi vede le reali condizioni della migrazione e soprattutto della travbersata torni indietro per raccontarlo. Chi parte non sa, parla del Mediterraneo come di un fiume, the river, c’è una sorta di marketing incentrato sulla facilità della trasversata. Quando arrivano sulla spiaggia e vedono il mare e i gommoni con cui dovrebbero attraversarlo hanno paura e vorrebbero tornare indietro: ma non possono, una volta che hai pagato devi partire. Tanti hanno sul corpo i segni delle violenze, tagli su braccia e gambe, tanti hano raccontato di persone uccise perché non volevano più partire». Ecco perché la distinzione fra migranti economici e rifugiati è stata superata dalla storia: queste persone sono partite per motivi economici, tecnicamente non sono rifugiati e non hanno diritto alla protezione internazionale, però nel loro percorso nei fatti hanno subito una violazione dei loro diritti umani. E sono costretti a imbarcarsi. Questa è la realtà. «Non abbiamo il diritto di dire “non partite”», spiega Di Giacomo, tornando alla campagna sui social, «ma abbiamo il dovere di informare, perché tanti oggi ci dicono “non immaginavo”».
Una mano tesa Blessing l’ha trovata da suor Rita Giaretta, a Casa Rut, a Caserta. «Non volevo stare lì da loro. Altre donne, come quella che mi aveva tradita. Perché questa donna mi tende la mano? Cosa vuole da me? Io non avevo mai pensato prima che una donna e una donna cristiana potesse vendere un’altra donna: avevo paura. Non è facile avere fiducia quando sei stata tradita», racconta. Poi pian piano ha capito che Casa Rut «era una mano tesa vera, che non dà false speranze. Nelle parole delle suore di Casa Rut ho visto un messaggio, “siete capaci di cose belle, non siete condannate alla tristezza della morte, dentro di voi c’è la possibilità di una rinascita». Oggi è questo il messaggio che Blessing grida forte: «mi sto facendo voce per dire a tutte le ragazze trafficate che c’è una possibilità di rinascita. E di gioia».
DATA: 13-02-2017
http://www.vita.it/it/article/2017/02/13/racconto-la-tratta-perche-nei-villaggi-della-nigeria-nessuno-sa-la-ver/142455/